Storia del Presepe Napoletano

È cosa risaputa che il primo Presepe fu realizzato da San Francesco, nel lontano 24 dicembre 1223, a Greccio, paesello di Rieti. C’erano la grotta, il bue e l’asinello, perché l’Assisiate non voleva si facesse “spettacolo” della nascita di Gesù. Gli altri personaggi furono introdotti a Napoli, dove il presepe è un’arte oltre che una tradizione. Qui fu proprio l’ordine francescano a realizzare la prima rappresentazione scenica della Natività nel 1340, ponendo dinanzi ad un fondale dipinto statue lignee a grandezza naturale, le cui espressioni ricalcavano sentimenti di profonda fede e religiosità. Nel ‘500, però, il presepe iniziò a svilupparsi e popolarsi. Grazie all’inventiva e alla creatività di Gaetano da Thiene, alla scena strettamente inerente la natività – Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù nella grotta con il bue e l’asinello – furono affiancati personaggi del popolo, in qualità di spettatori fedeli della nascita del Salvatore.

Il presepe napoletano classico, però, è una rappresentazione della nascita di Gesù ambientata tradizionalmente nella Napoli del Settecento, l’epoca di forse maggiore notorietà del presepe nel capoluogo campano. A incentivare la riproduzione del presepe fu re Carlo III di Borbone, che aveva una vera passione per le arti manuali. Si può ben comprendere come la rappresentazione della Natività sia diventata una vera e propria moda, soprattutto tra i nobili del tempo che facevano a gara per aggiudicarsi le lodi del re per le loro creazioni. E accadde anche che il presepe perse le caratteristiche originarie, quand’era umile e disadorno, per dare spazio ad una scenografia più variegata e spesso maestosa. Lo stesso “Scoglio” da semplice mangiatoia si trasformò in un’elaborata costruzione che prevedeva un paesaggio con montagne, salite e discese, vicoli e scalinate; solo in pianura figurava la tradizionale grotta, affiancata dalle osterie nelle quali – secondo la narrazione dei Vangeli – Giuseppe e Maria non avevano trovato posto a Betlemme.

Alla corte di Carlo III, dunque, un vero e proprio fermento accompagnava il periodo di realizzazione del presepe, nella realizzazione del quale era seguito da scenografi, artisti ed architetti. I personaggi, ormai, non erano non più a grandezza naturale, ma realizzati in scala ridotta dai più abili artigiani, che li componevano unendo sapientemente teste in terracotta, occhi di vetro, arti in legno, corpo in stoppa e un’anima in fil di ferro. I “pastori” (termine che ben presto andò a connotare tutti i personaggi) non erano altro che le figure tipiche dei popolani napoletani: contadini, artigiani, pescatori, mendicanti. D’altronde Gesù era nato tra la gente più umile. Gente che era quindi rappresentata certamente non in pose statiche e quindi più “nobili”, bensì sorpresa nelle attività quotidiane o nei momenti di svago: al mercato, nelle osterie, nelle botteghe. Insieme ai pastori animali, strumenti di lavoro e musicali, prodotti dell’orto e minuterie varie riprodotti in scala. Se è vero che i personaggi dovevano essere più realistici possibile, allora dovevano indossare vestiti in tessuto. Ed ecco che anche le donne di corte erano coinvolte nella realizzazione del presepio, deputate alla fase della vestizione dei pastori, con abiti realizzati a mano con stoffe e tessuti provenienti dagli opifici reali di San Leucio. Le figure più importanti erano inoltre adorne di veri gioielli in miniatura, realizzati dagli orafi dell’epoca. Tale era la passione del re Carlo III che, quando si trasferì in Spagna, portò con sé un grandissimo presepe e degli abili artigiani per continuare lì la tradizione appresa a Napoli.

Il presepe napoletano del ‘700 divenne così più che la semplice rappresentazione della nascita di Gesù come narrata dai Vangeli, una perfetta unione di sacro e profano, un vero e proprio scorcio della vita partenopea dell’epoca. Non poteva quindi non diffondersi nelle case popolari, seppur con minore sfarzo e opulenza. Ospitato in una “scarabattola” (la teca), il presepe era composto da un piccolo “scoglio” abbellito con qualche pastore. Da quel momento, però, la realizzazione dei pastori si trasformò in un vero e proprio mestiere. Tra i più famosi figurinai dell’epoca ricordiamo Giuseppe Sammartino, l’iniziatore di una scuola di artisti del presepio, Saverio Vassallo, specializzato nella realizzazione degli animali, e Michele Perrone, abile nella realizzazione delle minuterie.

La moda del presepe attraversò l’intero secolo e, solo nell’800, iniziò ad affievolirsi: la maggior parte delle costruzioni esistenti furono smontate, vendute o disperse. Tra le poche realizzazioni dell’epoca sopravvissute fino ai giorni nostri vi sono il grande presepe reale, conservato nella reggia di Caserta, e quello donato alla città di Napoli dallo scrittore Michele Cuciniello, conservato nel museo della Certosa di San Martino. La tradizione napoletana del presepe non ha, però, smesso di affascinare le generazioni napoletane, divenendo parte del patrimonio artistico e culturale della città: ancora oggi, nonostante la comparsa dell’albero di Natale, la realizzazione del presepe riunisce intorno allo “Scoglio” intere famiglie che, nel periodo che precede le festività, si recano nelle storiche vie dei pastori di Napoli, specie nell’area del vecchio borgo di San Gregorio Armeno, per ammirare il lavoro degli artigiani ed acquistarne le statuette realizzate a mano con cui abbellire il presepe casalingo.